Il termine "cholo"


Il termine cholo viene utilizzato in tutta l’America Latina con accezioni varie, anche fortemente dispregiative e generalmente si riferisce alla popolazione meticcia. In Argentina ad esempio, il termine non ha un’accezione negativa e viene utilizzato per indicare i meticci con alto livello di sangue indigeno, in Cile viene utilizzato come termine dispregiativo in riferimento a chi proviene dal Perù mentre in Bolivia è usato per riferirsi alle popolazioni indigene della zona altiplanica.
Fonti storiche riportano che il termine ha origine dai conquistadores spagnoli, che usavano indicare la popolazione meticcia con il termine cholos, che venne utilizzato poi anche dal Vicereame del Perù per riferirsi alla medesima tipologia di popolazione ed entrò nel vocabolario comune. Anche lo scrittore e politico Ricardo Palma la utilizzò per parlare dei meticci, cholos come razza inferiore ed impura.

In Perù il termine cholo è stato a lungo utilizzato con tono fortemente discriminatorio e razzista, ma negli ultimi anni molte persone hanno iniziato a definire sé stessi cholo in segno di un’identità nazionale e orgogliosi di avere sangue spagnolo ed indigeno, inoltre l’uso della parola è aumentato come forma affettiva tra le persone. Nei dipartimenti di Ancash e La Libertad la frase quechua allish cholu ha significato di brava ragazza o buon uomo. Inoltre oggi, molte espressioni contenenti il termine cholo hanno acquisito valori marcatamente positivi e socialmente apprezzati, come nel caso del cholo power y chola power utilizzato per indicare una persona con fenotipo più o meno peruviano (colore della pelle, lineamenti del viso, altezza) associata ad un personaggio di successo, come sportivi o artisti peruviani.
A partire dagli anni ’80 le città sono diventate i luoghi privilegiati per la costruzione attiva della cittadinanza, riconosciuta con alcune caratteristiche, come l’uguaglianza di diritti e doveri tra i cittadini, la partecipazione alla comunità politica e la garanzia statale di rispetto dei diritti dei cittadini grazie ad istituzioni.

Nel saggio di Anibal Quijano del 1980 “Lo cholo y el conflicto cultural en el Peru” l’autore analizza a partire dal massivo processo di migrazione le motivazioni principali di questo processo. Quijano enfatizza che come conseguenza della sovrapposizione delle due culture, distinte in un sistema di dominazione culturale, si scatena un processo di conflitto e di reciproca influenza culturale che porta alla acculturazione di alcune parti della popolazione indigena da una parte della graduale modificazione della cultura globale originale, fino a convertire la cultura occidentale in una versione influenzata dalla grande quantità di elementi incaici e dall’altro lato di elementi occidentali che influenzano la cultura indigena.

Quijano sottolinea che questo processo, iniziato con il conflitto di due culture radicali e completamente distinte diventa un processo di incontro e di scambio fra le due culture entrambe modificate ed influenzate dagli elementi dell’altra. La cholificazione di Lima ha portato ad una mescolanza etnica e culturale, l’eterogeneità dell’intero Perù si riflette a Lima fino a trasformarla in una città di ogni sangue. In questo nuovo spazio l’esplosione dei mezzi di comunicazione massivi che trasmettono l’eccellenza degli stili di vita urbani, permettono al migrante di trovare un proprio spazio in contesto urbano.
Anche Edwin Elmore, politico e scrittore peruviano sostiene che Lima si trasforma in un’arena culturale e sociale all’interno del quale il soggetto urbano deve costruire la propria identità.

Il fenomeno è stato approfondito da Josè Matos Mar nell’opera “Desborde popular y crisis del Estado, pubblicata nel 1984 in cui l’autore opera un meticoloso studio di una delle più trasformazioni più significative della storia peruviana. Gli abitanti delle zone andine si trasferirono nelle città in cerca di una vita più dignitosa chiedendo di essere riconosciuti come cittadini a tutti gli effetti. Anche in assenza di posti di lavoro i migranti andini cercarono di non pesare sullo Stato, organizzandosi con le modalità che permettevano alle comunità andine di sopravvivere, come riportato da Cesar Ramos infatti, numerosi furono i casi i cui i migranti si riunirono in associazioni e acquistarono i terreni da coltivare e si occuparono e pagarono anche per la costruzione dei quartieri e delle strade, sopperendo alle mancanze dello Stato.









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